Biancospino
May sbuffò scendendo dall'auto. Il capo le aveva appioppato l'incarico con una telefonata fulminante mentre usciva dalla redazione per godersi l'agognato fine settimana.
Sbatté la portiera, una silenziosa imprecazione tra i denti. Altro che sensazionale intervista e un passo avanti nella carriera! Era un vecchio professore in pensione, scomparso da anni dalle prime pagine dei giornali, la sua scoperta superata dai tempi.
Sbuffò di nuovo: aveva di meglio da fare, il venerdì sera, che recarsi in una fatiscente villa di periferia al tramonto.
Dove diavolo era il citofono?
Oltre il cancello, nel crepuscolo incipiente, un grande giardino mal tenuto, il viale d'accesso invaso dalla vegetazione.
Spazientita, seguì il marciapiede lungo il muro perimetrale cercando l'entrata pedonale.
Un cancelletto, edera e rampicanti abbarbicati alle eleganti aste brunite. Dietro, vegetazione disordinata e ammassata, il lastricato del vialetto sommerso da erba e cespugli. Il citofono c'era, targa d'ottone opaca con nome illeggibile e bottone istoriato consumato dal tempo.
Ormai convinta d'essere all'indirizzo sbagliato, la serratura girò con uno scatto metallico e la grata dell'ingresso arretrò, magicamente, lasciandola entrare mentre l'ultimo raggio di sole sfiorava le cime delle piante oltre il muro di cinta.
Avanzò a fatica, tra grovigli d'arbusti troppo cresciuti, il vialetto somigliante al sottobosco, coperto da aghi di pino. Qua e là un rametto spinoso agganciava l'orlo della gonna e un pruno attentò l'integrità dei collant. S'inoltrò circospetta nella grotta vegetale che aveva avviluppato il vialetto d'entrata, maledicendo tra sé il suo capo.
L'intrico di vegetazione si diradò e un largo spiazzo incolto, un tempo prato ben curato si aprì mostrando una costruzione signorile ricoperta d'edera. Avanzò costeggiando l'arida fontana circolare, al centro un gruppo marmoreo venato dal verde del muschio.
Esitante, salì i gradini sconnessi della scalinata, le dita per precauzione sul corrimano di pietra.
Arrivò in cima col batticuore; proseguì nell'ingresso buio, la luce serale oscurata dagli intricati festoni di glicine pendenti dalla balconata, che oscillavano nella brezza.
Un rumore secco e la grande porta si aprì, le vetrate colorate tintinnanti.
Ancora un passo titubante: il cono di luce s'irradiò sul terrazzo e un'alta figura scura si stagliò sulla soglia.
- Prego, accomodatevi Signora. - la invitò con un cortese inchino.
Una voce giovanile e armoniosa, una carezza di seta nella sera.
Doveva esser il figlio del decrepito professore, forse addirittura il nipote, venuto ad aprire perché il nonno dormiva.
Perchè le dava del voi?
Il portone si richiuse con un tonfo soffocato e il padrone di casa la precedette deciso, il lungo mantello nero che fluttuava nell'aria.
May si stropicciò gli occhi. Dov'era finita? Cosa stava accadendo? Uno stupido scherzo organizzato dai colleghi?
Restò immobile, sconcertata.
Il suo ospite se ne avvide subito, si fermò e si voltò, sinuoso ed elegante, il manto a seguirlo in un aleggiare raffinato. La fissò con penetranti occhi neri e il cuore di May prese a battere all'impazzata, la mente all'improvviso confusa, vuota, impacciata.
L'uomo sembrava uscito da una piega del passato, oltre un secolo prima.
L'antologia di opere ispirata alla paura dell'ignoto contiente i raccolti selezionati da BraviAutori.it, tra cui il mio "Biancospino".
Potete leggere il racconto sul mio blog: Biancospino